Giunti al rifugio con i viveri – che è già un impresa - ogni volta dobbiamo scavare la neve per raggiungere la porta di ingresso. Dentro troviamo dai meno due ai meno quattro gradi di temperatura e quindi accendiamo subito le cinque stufe a legna, dislocate all’interno della struttura. La legna ovviamente deve già essere pronta ed accatastata, prima dell’inverno, in posti dove viene poi comodo prenderla, anche quando, come quest’anno veniamo sommersi dalla neve. Dopo ogni nevicata e sempre, dopo che c’è stato il vento, occorre togliere la neve davanti alle finestre per far entrare un po’ più di luce naturale. Con cinque metri di neve attorno al rifugio, quando sei riuscito finalmente ad aprire gli antoni delle finestre, ti trovi davanti comunque un muro verticale bianco che oltre a non farti vedere il panorama, non fa entrare nemmeno la luce del sole».
Sapere che c’è un rifugio aperto in alta montagna è una sicurezza per tutti.
« Certo e noi cerchiamo, con l’aiuto anche dei nostri figli, di tenerlo aperto quanto più possibile, perché siamo consapevoli che un rifugio a duemila metri è un servizio e punto di riferimento per tutti. In alta montagna non si scherza. Se cambia il tempo e vieni coinvolto in una bufera di neve, un rifugio aperto, ti può salvare la vita».
Chi è il cliente tipo del rifugio in questo periodo?
« In inverno le persone che arrivano fino a qui, sono più preparate e meglio equipaggiate, rispetto all’estate. I classici sci alpinisti generalmente sono ancora più organizzati e meglio attrezzati, ma la maggior parte sono ciaspolatori ed è facile trovare gente con le racchette da neve, impreparata e fuori luogo. Pensi che un giorno, una signora è entrata fin dentro il rifugio ed ha raggiunto il banco bar, per ordinare un thè caldo, tranquillamente con le ciaspole ai piedi, come fosse la cosa più normale di questo mondo e questo semplicemente perché non era capace di togliersele».
Giancarlo Castellano, collaboratore di ECO RISVEGLIO