Dopo essermi presentato alla responsabile della struttura, entro ed il primo che incontro è Arnaldo. Mi sorride e mi ringrazia per la inaspettata e gradita visita.

Come va? Gli dico stringendogli la mano che, malgrado i suoi 89 anni, è sempre bella vigorosa.
«Begn» Risponde sorridendo e subito capisco che sarà una conversazione in dialetto.

«Chi a staghi benone; a mangi e bevi, im fan a drè, a dormi e suvent a vaghi fora a fa quatar pas». (Qui sto molto bene, mangio e bevo, mi assistono, dormo e spesso vado fuori a fare quattro passi). Mi invita a sedermi con lui al tavolo dimostrandomi che nella struttura, si muove come fosse casa sua. All’interno c’è movimento, sono le dieci e trenta, i tavoli sono già apparecchiati per il mezzogiorno e mi spiega che a pranzo saranno in 92. “Novantadue?” «Sce. Nui a sem in quaranta, ma i man dicc che a mangià a sarem in nuvantadoi». (Sì, noi siamo in 40, ma, mi hanno detto che a mangiare saremo in novantadue). La direttrice della struttura Rita Savoia, mi spiega che oggi sono invitati i parenti di ogni ospite, come fosse il pranzo di Natale e così mi da l’occasione per chiedere ad Arnaldo, come lo vivrà questo Natale… «Cume tuti i dì – risponde con naturalezza – (come tutti i giorni) e par mi, u va begn cusì» (e per me va bene così). La conversazione prosegue e notando la grande televisione accesa, con le sue incessanti e martellanti pubblicità, mi fa sorridere il completo disinteresse degli ospiti presenti in sala che guardano da tutt’altra parte.

Chiedo alle assistenti dove sia Giuseppe Rovina, classe 1928 che è il più anziano di tutti e mi indicano il fondo della sala. Lo individuo e mi avvicino. Alza lo sguardo e anche lui mi riconosce subito. «Ciao Giancarlo. Mah! Cus ti fei chi? Ti ghei a drè la fisarmonica»? (Ma cosa fai qui? Hai con te la fisarmonica?) Contraccambio il suo sorriso e dico che sono moltissimi anni che non vado più in giro a suonare. «Quanti bel fest aiem facc, quant ti sunavat…» (Quante belle feste abbiamo fatto quando suonavi…). Vive di ricordi belli e allegri Giuseppe, ma sono passati più di quarant’anni… «A mi u mè sempar piasjù l’allegria e la bela cumpagnia… Da giovin a navum a Pizzanc a fa baldoria e là i gherin tanti bel fiol... (Quando ero giovane andavamo a Pizzanco a fare festa e là c’erano tante belle ragazze…). «U ghè chi anca la me surela Maria, ma a l’è un po’…(fa segno con il dito indice la tempia) i la pedignin, parché la scapa…» (C’è qui anche mia sorella Maria, ma è un po’… la pedinano perché scappa…).

Si avvicina il Natale – dico – come lo trascorrerete?

«Mah…a speri d’aveg buna cumpagnia in alegria…» (Ma… spero di avere buona compagnia in allegria…). Nel frattempo, le assistenti si avvicinano, accompagnando Maria Rovina, classe 1934, sorella di Giuseppe. Non mi riconosce, malgrado io le facessi molti riferimenti, alla valle Bognanco…alla frazione dove abitava… alla cima Verosso con lei che faceva il tifo agli atleti impegnati nella gara di corsa in montagna… Sorride, annuisce…Poi dice: «ah sì, adesso ti riconosco…» e sorridendo, mi porge la mano per salutarmi con un soave e sbrigativo: «Arrivederci…». No, no, non mi ha riconosciuto, ma non insisto e contraccambiando il saluto sorridendo e augurandole buone feste.

Per ultimo incontro Rosita Vivarelli, coscritta di Giuseppe, che mi aveva già intravisto in sala e le avevo fatto capire roteando il dito indice che sarei passato da lei più tardi e quando mi riconosce esclama: «Uh… come sei diventato vecchio!... Hai la barba bianca…». Sorrido evidenziando che anch’io sono diventato anziano… Mi interrompe dicendomi se sono lì per suonare la fisarmonica…». E dai, con sta fisarmonica… Poi noto che stanno portando in sala microfoni e strumenti musicali ed allora capisco il riferimento; tutti stanno aspettando la musica per rallegrare il pranzo e la giornata di festa… E’ quasi mezzogiorno e molti sono già seduti ai tavoli… mi congedo quindi con calorose strette di mani, sorrisi e auguri di buone feste.

Sulla strada del rientro a casa, mi passano nella mente le persone incontrate ed i loro sorrisi e quando rivedo le piante di cachi, penso ad alta voce: ecco, questi frutti rimasti sui rami spogli degli alberi, sono come i miei amici che ho appena incontrato. Stanno bene tutti insieme in gruppo e sono dolcissimi, ma ognuno vive sul proprio ramo solitario.

Giancarlo Castellano, collaboratore di ECO RISVEGLIO