Già, il Jukeboxe… c’era anche la versione dove la recluta veniva chiusa dentro l’armadietto e questo doveva cantare le canzoni richieste… Se eri stonato, era davvero molto dura soddisfare i “nonni”…

Clemente Scrimaglia, alpino a Torino negli anni 1976/77, racconta uno dei più classici degli scherzi; l’aquila. «Consisteva nell’invitare (con le buone s’intende), una recluta a salire sopra all’armadietto e questo doveva fare il verso dell’aquila. Se lo faceva bene, la cosa finiva in pochi minuti, se non “era bravo” il poveretto, stava lì sopra a fare versi anche per ore…».

Ma c’erano anche scherzi un po’ più pesanti, tipo quello dove la recluta doveva spogliarsi e, restando in mutande (d’inverno), andare fuori in cortile della caserma e fare il cosiddetto “termometro”. I compagni anziani uscivano e per sentire la temperatura lo toccavano… il giochetto, durava diversi minuti… Oppure il classico lucido nero degli scarponcini che veniva spennellato sul sedere delle reclute o il dentifricio spalmato sul cuscino del malcapitato e questo, si ritrovava al mattino, con la faccia tutta impiastrata…

Valter Allegrini nei Genio Guastatori in diverse caserme fra Roma e Udine negli anni 1971/ 73 per 15 mesi e si ricorda perfettamente quando la recluta era costretta a fare il letto degli anziani, perfettamente con la forma del famoso cubo e fino a che non era “ben fatto” lo doveva disfare e rifare…. e poi ancora quando nella notte, si prendevano le scarpe delle reclute e si legava la stringa di uno con quella dell’altro e poi le si buttavano giù nel corpo scale… Al mattino c’era sempre un gran correre per cercare ognuno le proprie scarpe in tempo per l’adunata…

Dante Scrimaglia, in servizio al Centro Sportivo Esercito di Courmayeur nel 84-86: «…a parte le solite “pince” (flessioni sulle braccia ndr) che dovevano essere fatte in modo esemplare, altrimenti si doveva provvedere alla pulizia della camerata per tutta la settimana con relativa lucidatura scarpe ai “nonni”, a volte, si mettevano due elmetti ai gomiti e due alle ginocchia alle reclute che venivano poi lanciati da una parte all’altra della camerata…».

Salvatore Bariatti classe 1968, racconta di quando veniva consegnata la posta…«Era il caporale di turno a distribuire la posta ai soldati e questo, invitava il destinatario della tanto attesa lettera a posizionarsi sull’attenti con la faccia vicinissima alla parete. Il caporale alzava la lettera contro il muro e poi la lasciava cadere, la recluta, doveva fermarla solo con la fronte, picchiando la testa contro il muro… era una tortura e fortunatamente – conclude Salvatore- a me non scriveva mai nessuno».

Giancarlo Castellano, collaboratore di ECO RISVEGLIO