Purtroppo invece è tutto maledettamente vero e adesso che non c’è quasi più nessuno in giro ancora in grado di raccontare, si sente il bisogno di riportare le dichiarazioni di quei pochi che hanno avuto la forza ed il coraggio di parlare. Uno di questi pochi, è stato don Remigio Biancossi (1917-2003) bognanchese, tenente cappellano degli alpini, sacerdote, scrittore e poeta, che ebbe la meticolosa volontà di scrivere tutte le sue vicissitudini in un taccuino, durante i suoi due anni sofferti di prigionia. Finita la guerra, don Remigio andò a Milano per trovare qualcuno interessato a fare dei suoi appunti un libro. Purtroppo si rivolse alla persona sbagliata e venne deriso. Profondamente deluso da quell’incontro e preso dallo sconforto, ritornò a casa e bruciò tutto nella stufa.
Ebbe comunque modo di raccontare negli anni successivi a chi gli chiedeva dei suoi ricordi durante il periodo bellico, cose incredibili su quei campi di concentramento, lui che di lager ne ha vissuti molti visto che scelse di consegnarsi ai tedeschi. Lo fece spontaneamente al termine di una dura resistenza degli alpini contro i nazisti in Trentino. Si presentò per quel che era; tenente cappellano degli alpini confidando che avrebbe seguito i suoi soldati nei campi di prigionia. “Erano tutti diversi – diceva dei campi - ma i metodi e le crudeltà erano spietatamente tutti uguali. Chi entrava, aveva ben poche speranze di uscire, anche perché lì dentro nessuno durava molto”.
In quei due anni a girare nei lager don Remigio vide morire di fame e di stenti molta gente ed ebbe modo di raccogliere le loro ultime parole. “I tedeschi distribuivano un pezzo di pane al giorno – raccontava - misto a segale e paglia. Un giorno, uno dei miei soldati, riuscì a procurarsi di sfroso del pane, ma gli mancarono le forze per mangiarlo e la mattina seguente lo trovarono morto nella branda con in bocca ancora il pezzo di pane che non riuscì a mandar giù.” Don Remigio, raccontò le atrocità anche da parte di alcuni partigiani che saccheggiarono i paesi e maltrattarono la povera gente, privando loro dei viveri. Raccontò degli americani e dei bombardamenti a tappeto sui campi di concentramento dove lui una volta si salvò miracolosamente, riparandosi dietro una vecchia caldaia”.
Raccontava spesso del “potere di uccidere in mano agli oppressori e quello del perdono, l’unico strumento nelle mani di chi subiva le atrocità della guerra”.
Raccontava a fatica don Remigio, con gli occhi lucidi e la voce tremolante e si raccomandava di non dimenticare.
Giancarlo Castellano, collaboratore di ECO RISVEGLIO