STEFANO VIVARELLIIn valle Bognanco sono stati sufficienti 30-40 centimetri di neve e un pò di ghiaccio per far emergere disagi ed inadeguatezze del piano neve. Gli anziani, lo sappiamo, dicono di non prendersela più di tanto se le strade sono piene di neve e ghiaccio; a giugno, assicurano, non ce ne sarà più. Chi invece lavora o ha delle attività, pretende dei servizi che fino adesso di fatto, il comune non è stato in grado di dare. «Durante il periodo delle festività natalizie, la strada è stata un disastro» ha detto Stefano Vivarelli, residente alla Gomba e che tutte le mattine deve andare a lavorare. «E vogliamo parlare dei parcheggi a San Lorenzo e Graniga? Non mi importa delle polemiche che leggo sui giornali – dice con disappunto - al riguardo del comune, sindaco e amministrazione. Qui si tratta di lavorare con giudizio. Mi auguro che vada meglio nei prossimi mesi perché la stagione invernale è appena incominciata. Mi chiedo se dovrò comprare un gatto delle nevi oppure se ognuno, da qui in poi, farà la sua parte, con consapevolezza».

Un altro autorevole residente e forse meno inviperito, ma che di neve sulle strade ne sa forse più di tutti, è Alberto Pellanda, classe 1936. che per molti anni è stato anche cantoniere ed alla domanda: Ma era così anche una volta? Ha iniziato il suo racconto:

«Avevo dieci, dodici anni quando andavo a spalare neve con i grandi. La strada Domo – San Lorenzo non era ancora provinciale ed era il comune che doveva spazzare la neve. Tutti gli uomini abili si rendevano disponibili a spalare ed il comune pagava le ore. Venivamo pagati anche noi che seppur eravamo solo dei bociascia (ragazzini ndr), facevamo il lavoro come i grandi. Ricordo un anno quando, finito di nevicare, una squadra di uomini partì da Fonti ed un'altra da San Lorenzo. Tutti armati di pale, abbiamo spalato la neve dalla strada. E quando ci siamo incontrati, è stata una grande festa. A quei tempi la strada non aveva le barriere in metallo. Il ciglio a valle era delimitato da un semplice muretto di pietra e la neve dovevi proprio buttarla fuori dalla carreggiata. Anche quando veniva utilizzato lo spartineve, si apriva con il cuneo un piccolo varco a metà e poi con la pala si allargava la traccia».

ALBERTO PELLANDACon il cuneo?

«Sì, non c’erano camion. Esisteva un cuneo di legno che due squadre di uomini lo tiravano con le corde. Mio padre si metteva sopra sul davanti per fare peso e tutti giù a tirare. Può immaginarsi trenta uomini davanti a tirare il cuneo; pestavano la neve e rendevano difficile lo sgombero. Si ricavava una striscia larga circa due metri e poi si ripassava aggiungendo le due ali laterali per avere una pista più ampia. Arrivati giù a Fonti, si chiudeva il cuneo e si ritornava su. Da Fonti a Domo ci pensavano quelli delle Terme. Usavamo lo slittone di legno per mettere la sabbia sullo stradone. Facevamo dei mucchi qua e la a bordo strada e li coprivamo con il letame perché la sabbia non si gelasse».

E le frazioni che non avevano la strada?

«Lì, dovevano pensarci i frazionisti. Ma se la neve era tanta gli si andava incontro. Che bello che era! Tutti fuori a spalare. Un gran movimento di gente e di allegria».

Quando avete iniziato a usare i camion con la lama davanti?

«Quando andai a lavorare in Provincia, negli anni sessanta e sul cassone del camion, carico di sabbia eravamo in quattro; due spargevano la sabbia con la pala e gli altri due facevano in modo che i due spargitori avessero sempre il mucchio di sabbia pronto davanti a loro. Il camion andava e noi come una macchina non dovevamo mai fermarci. Io e mio papà eravamo perfetti dietro a spargere la sabbia perché uno era destro e l’altro sinistro. Poi arrivò il meccanismo che spargeva la sabbia da solo, ma due uomini dovevano sempre stare sul cassone per fornire la tramoggia di sabbia e quando il camion si fermava lo spargisabbia automatico continuava a lavorare e si formavano mucchi di sabbia sulla strada. Fu l’impresa Taffi che pensò ad un meccanismo capace di fermarsi con il camion ed allora le cose migliorarono un pochino. Certo che adesso è tutta un'altra cosa. I mezzi sono all’avanguardia ed efficienti, ma il risultato finale non è eccellente. Manca l’esperienza e la conoscenza del territorio. Con lo spazza neve vanno su e giù per le strade, ma non prevedono allargamenti per gli scambi e nemmeno spazi adeguati per posteggiare le auto.

Sul mezzo ci vorrebbe sempre un uomo che conosca bene la zona ed i bisogni della gente e ci deve sempre essere qualcuno che abita in valle che avvisi quando le condizioni sono critiche. Mi ricordo che mi alzavo di notte per vedere quanta neve era caduta e nel caso dicevo di intervenire. Il contratto che il comune faceva con la ditta prevedeva l’uscita dei mezzi quando sulla strada c’erano almeno sette centimetri di neve. A volte capitava che il sabato sera, a notte fonda, ero ancora a Domodossola e vedendo che stava nevicando, telefonavo alla ditta chiedendo di intervenire. Appena vedevo lo spazzaneve salire la valle – conclude Alberto - lo seguivo con la mia macchina fino a casa e la strada me la trovavo sempre bella pulita. Ma quelli erano altri tempi ed è proprio vero il detto: “si stava meglio quando si stava peggio”».


Giancarlo Castellano
, collaboratore di ECO RISVEGLIO

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