Giuseppe Galletti (Pino)«Mia mamma morì  subito dopo avermi partorito. Avevo pochi  giorni di vita e rimasi solo con mio padre  Giacomo e i miei due fratelli. Con noi viveva  anche  zia Marietta che mi fece praticamente da mamma. Mio fratello Pierino, a soli 13 anni, venne accidentalmente  incornato da una mucca e morì con il torace perforato».

Comincia così Giuseppe Galletti (Pino), classe 1920 a raccontare la sua vita e ce ne sarebbe già abbastanza per smettere di scrivere  ma, nella speranza che qualcosa di meno triste ci possa essere in questa vita iniziata a Pizzanco 95 anni fa, proseguo.

Coraggio, vedo che ha buona memoria, continui pure…

«Stavamo a Pizzanco fino a ottobre e poi scendevamo nella periferia di Domo, a Castanedo, dove avevamo terreni, casa e stalla. Si rimaneva giù fino in primavera  e poi, con al seguito  tutte le bestie, salivamo nuovamente per la strada, tutta la  valle. Il nostro alpeggio era il “Gabi”,  sul sentiero  che porta all’alpe Vallaro. Faccio i quattro anni di  scuola fra Pizzanco e Vagna ed il 5° anno lo frequento nella scuola di Vagna solo fino a marzo perché poi andiamo su in valle ed a Pizzanco non c’è la quinta.  A otto anni mi mandano a fare il servitore all’alpe Ridorosso, ma  sento nostalgia dei miei e così, dopo vari pianti e silenzi, mi riportano a casa, dove imparai subito  a fare il formaggio. Mio padre aveva paura che, data la mia piccola statura, finissi dentro annegato  nella caudera (grosso pentolone in rame dove si lavorava il latte). Una domenica scendiamo a San Lorenzo per la messa e durante il rientro a casa, passiamo dalla curva di Vartighera dove si stavano svolgendo  delle gare  sportive, organizzate dalla Milizia. Mi avvicino curioso e mi chiedono se voglio partecipare…”Perché no? Dico. ” Vestito così come sono, partecipo  alla gare di salto e le vinco, sia in alto che in lungo… gara di  velocità, e la vinco… lanci dei  pesi e li vinco…  Praticamente vinco tutte le gare e stupisco un po’ tutti, tanto che vengo letteralmente portato a Pizzanco, come fossi  un eroe, anche se poi  tutto finisce lì perché la mia forza atletica, la utilizzerò ancora e come sempre, su per le montagne  a  correre dietro alle bestie.  A sedici anni però succede una svolta e  inizio a giocare al pallone, con un certo profitto  visto che, finita la guerra, sono  portiere titolare, prima  della Juventus  Domo,  poi del Chivasso e per finire del Virtus Villa».

Già, la guerra, c’è capitato dentro in pieno, come l’ha vissuta?

«Sono stato chiamato militare nel 1939 a Bardonecchia e poi trasferito a Torino a guardia di grossi depositi di carburante, fino al 1944…. Poi rientro in Ossola e…. devo raccontarle quando ho rischiato la vita  a Ornavasso, ma è una storia lunga e forse è meglio che gliela racconto a parte….».

Ok, allora andiamo avanti;  cosa  succede  dopo la guerra?

«Mio padre diede via le vacche e così io, libero di quell’impegno,  mi inventai  qualche nuovo altro lavoro…».

Ad esempio?

«Con Marcello Possa ed un farmacista di Domo, avviammo un laboratorio  artigianale di borsette in città, sopra al caffè Universo… ma fu una esperienza breve.  In seguito, convinsi  mio padre a prestarmi dei soldi e con Giuseppe Rovina da Boc , avviammo a Bognanco un allevamento di polli… ».

Immagino però che anche questa attività non durò molto…

«Dice bene, perché  la mia passione era un'altra. Mi fanno una proposta di acquistare un camion a rimorchio e parlandone in famiglia decidiamo di vendere un  nostro  appartamento che avevamo in Svizzera per comprare il camion».

… e così diventa camionista…

«Bhè, la passione è quella, ma quel camion lo vendo presto anche perché lo avevo preso in società con un altro, così per un paio d’anni  vado a lavorare dal Vercelli   a trasportare frutta e poi  per dieci anni faccio l’autista  di autobus per il Moalli…»

…Non c’è che dire; una vita movimentata….

«Eh sì e sempre con la passione per i camion però,  perché, dopo  sposato acquisto un altro camion, da solo questa volta  e fino al 1984 faccio il trasportatore per le fabbriche ossolane ed  alcune cave».

Ma lei  nel 1984 aveva 74 anni e guidava ancora il camion?

«(ride) Obbè, avrei guidato anche oltre, ma la polizia cominciava a farmi  troppe storie… E così ho venduto il camion e me ne sono andato  in pensione… Ecco,  adesso le racconto la storia del….».

Ferma ferma….

È uno straordinario  treno in corsa  Pino Galletti nel raccontarmi la sua vita. Novantacinque anni  di ricordi senza tentennamenti o  interruzioni per un qualcosa che si è dimenticato o che gli  è sfuggito  dalla mente. Con sua sorpresa, propongo di sospendere l’intervista e di  dividere almeno in due parti  la sua storia, perché a volte, non basta un articoletto  di giornale per raccontare una  vita intensa  come questa.

 

Giancarlo Castellano, collaboratore di ECO RISVEGLIO

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