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BOGNANCO

Dall’inizio di quest’anno, Felice Darioli, non è più il Capo della Decima Delegazione del Soccorso Alpino Valdossola. Dopo 15 anni di ininterrotto impegno e dopo quattro mandati, ha preferito cedere il comando a qualcuno più giovane. Questo qualcuno è Matteo Gasparini che avremo modo di conoscere meglio più avanti. Ora  parliamo con Felice Darioli, classe 1947, di origini bognanchesi  al quale chiediamo di raccontarci un po’ della sua vita.
«La mia vita? Non so se potrà  interessare a qualcuno». Dice sorridendo.
Sentiamo.  Se non sa da dove iniziare, parta pure da quando viveva a Graniga…


«Ero un ragazzino quando partivo da casa con gli sci ai piedi per andare su fino al Monscera. Dicevano che ero forte ed infatti nelle gare, che venivano disputate, arrivavo al traguardo sempre tra i primi.
Ricordo che mio padre ricevette due lettere, a distanza di tempo,  dalla Guardia di Finanza con l’invito di  entrare a far parte delle Fiamme Gialle,  ma a me la cosa non interessava e poi mia madre piangeva al solo pensiero di vedermi andare via.
Continuai così ad allenarmi sulle mie montagne, dove mi capitava spesso di incontrarmi con gli spalloni bognanchesi che, dalla vicina Svizzera, portavano in Italia merce di contrabbando e mi chiedevano sempre se avevo visto in giro i finanzieri.
Poi un giorno mi decisi e nell’agosto del 1965 mi recai da solo in caserma, che in quei tempi era a San Lorenzo, e chiesi di poter gareggiare con le Fiamme Gialle. Il 6 novembre dello stesso anno, dopo un velocissimo arruolamento, ero già a Predazzo con la divisa della Guardia di Finanza».
E poi?
« Già nel 1966 ed anche nel 1967, vinsi il titolo di campione italiano nella staffetta 3x10 km e fino al 1971 vinsi molte gare nazionali ed internazionali. Nel 1972, fui campione italiano nella staffetta 4x10 km e vinsi anche il trofeo 5 Nazioni. Quell’anno, inspiegabilmente mi mandarono alle Olimpiadi di Sapporo solo come riserva. Ero giovane, andavo forte, ma scelsero come titolari altri atleti, ugualmente forti, ma  più anziani. Ci rimasi male, ma andai avanti lo stesso e fino al 1976 ottenni 14 primi posti in gare nazionali e nel 1977 divenni campione italiano di sci alpinismo e così anche nel 1980, quando ormai stavo chiudendo l’attività agonistica».
E dopo le gare?.
«Divenni maestro di sci di fondo e di discesa, oltre che istruttore nazionale di sci alpinismo e, sempre all’interno della Guardia di Finanza,  dal settore sportivo, venni trasferito nel Soccorso Alpino, fino al 1995, anno in cui andai in pensione».
E da qui, immagino iniziò l’impegno civile nel Soccorso.
«Sì, certo. Ero istruttore regionale di Soccorso Alpino e nel 1997, dopo due anni di vice, fui nominato Capo della Decima Delegazione del Soccorso Alpino Valdossola, incarico che mantenni fino a tutto il 2012, con ben quattro mandati».
Caspità! Non c’è che dire, la sua è stata una vita piena di successi. E adesso che è in pensione, diciamo per la seconda volta, cosa pensa di fare?
«Beh! Sto già facendo lezioni, come maestro di sci al Lusentino e se la salute mi seguirà, penso proprio che per un po’  di anni insegnerò ai bambini a sciare».
A proposito di insegnamenti, in tutti questi anni dedicati al soccorso alpino, ha qualche consiglio o raccomandazione da dare a chi frequenta la montagna?
La risposta arriva immediata, dura e senza sorrisi.
«Abbiamo soccorso in questi anni migliaia di persone e molte, troppe purtroppo, decedute e spesso queste persone, avevano ai piedi scarpette assolutamente inadatte per camminare sui sentieri di montagna. Chi vuole fare un escursione in montagna, deve calzare scarponi e portare con sé sempre capi di abbigliamento adatti per affrontare eventuali situazioni di emergenza. Ed un'altra cosa; chi va in montagna, deve avere la tessera del CAI! Costa circa 40 euro ed è compresa una assicurazione in caso di incidente e poi ci sono sconti per i nuclei familiari. Pensi che solo il 10% delle persone che soccorriamo è tesserato. E’ pazzesco, la gente spende migliaia di euro per un capo di abbigliamento firmato e non pensa alla tessera».
Ok! Messaggio ricevuto. Scarponi, abbigliamento idoneo e tessera del Cai.
Un ultima cosa.
«Prego».
Ho saputo che è diventato nonno.
La faccia scura che aveva prima, di colpo si ammorbidisce e si illumina con un sorriso.
«Sì, è vero e mia figlia Patrizia mi ha detto di tenermi un po’ libero anche per il mio nipotino Alessandro».

 

Giancarlo Castellano, collaboratore di ECO RISVEGLIO

 


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